Mente sulla propria fertilità: no al danno da nascita indesiderata

Mente sulla propria fertilità: no al danno da nascita indesiderata

Cassazione Civile, sez. III, sentenza 05/05/2017 n° 10906

Danno da nascita indesiderata: no al risarcimento anche se la partner mente sulla propria fertilità.

Nel caso in esame, il ricorrente ha impugnato in Cassazione la sentenza con cui la Corte di merito aveva respinto la domanda risarcitoria da questi presentata, per i danni che gli sarebbero derivati conseguentemente alla nascita indesiderata di un figlio, concepito in quanto la partner gli avrebbe mentito intenzionalmente sul proprio stato di fertilità. In particolare, il ricorrente ha esposto che prima del rapporto sessuale con la compagna, durante il quale è stato concepito il loro figlio, la donna gli aveva detto di essere in quel momento infertile: l’uomo quindi sarebbe stato indotto a non utilizzare alcuna precauzione. Pertanto, asseriva che si trattava di una vera e propria “truffa”.

In realtà, il ricorrente, denunciando la violazione delle norme di cui agli art. 2 Cost., ed art. 1175 c.c., ha poi ricondotto il thema decidendum della vicenda all’illecito civile aquiliano.

Il ricorrente ha altresì proposto il riferimento alla L. n. 194 del 1978, art. 1, comma 1, poiché in esso è garantito “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”. La Suprema Corte evidenzia però che sia un diritto sì garantito, ma come diritto pubblico, garantito dallo Stato, e non come un obbligo del partner.

Inoltre, la Cassazione ha rilevato che un rapporto sessuale tra due persone consenzienti non può essere assimilato ad un rapporto contrattuale, per cui non sussiste l’obbligo di ciascun partner di informare l’altro del proprio stato di fertilità o meno. Tale informazione rientra nel diritto alla riservatezza della persona, tutelato dal nostro ordinamento.

Dunque, se un soggetto fornisce alla persona con cui intende compiere un atto sessuale completo, un’informazione non corrispondente al vero, relativamente al suo attuale stato di fertilità o infertilità, da ciò non può derivare alcunché in termini risarcitori, per il combinato disposto dell’art. 1227 cpv., e dell’art. 2056 c.c., comma 1. Sulla scorta delle suddette disposizioni infatti, un soggetto che è in grado di svolgere un atto sessuale completo non può ignorare l’esistenza di mezzi contraccettivi, il cui reperimento ed utilizzo rientrano nella “ordinaria diligenza” per chi, appunto, in quel determinato caso intende esclusivamente soddisfare un proprio desiderio sessuale senza voler procreare.

Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Cassazione ha condiviso quanto sostenuto dalla Corte territoriale, ovvero che l’attuale ricorrente “in quanto portatore di un così forte e intenso desiderio di non procreare, avrebbe dovuto adottare sicure misure precauzionali” per cui, non avendolo fatto, egli stesso ha “assunto il rischio delle conseguenze dell’azione”.

In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, come da dispositivo.

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Fonte: Altalex