Dichiarazione di adottabilità: gli affidatari devono essere sentiti
Cassazione Civile, sez. I, sentenza 07/06/2017 n° 14167
La mancata audizione degli affidatari nel procedimento per l’adottabilità del minore rende nullo il giudizio ai sensi dell’art. 2 della legge n. 173/2015 che ha integrato il comma 1 dell’art. 5 legge sull’adozione. Il ruolo degli affidatari è importante per la costruzione dell’ambiente relazionale del minore, e per conoscere il suo carattere, i suoi comportamenti, bisogni e criticità, soprattutto quando la durata dell’affidamento, come nel caso di specie, sia di cinque anni, coincidenti con quelli vissuti dalla minore.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 7 giugno 2017, n. 14167, applica la recente disposizione introdotta dalla legge n. 173/2015 che ha introdotto un nuovo principio, quello della continuità affettiva del minore affidato temporaneamente a una famiglia con la quale lo stesso ha instaurato una relazione.
L’art. 2 comma 1 della legge n. 173/2015, che ha integrato il precedente comma 1 dell’art. 15 Legge sull’adozione (n. 184/1983), stabilisce che l’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria, devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti riguardanti la responsabilità genitoriale, l’affidamento e l’adottabilità del bambino, ed hanno facoltà di far conoscere la propria opinione nel processo.
Il caso
Alla nascita della bambina, la madre aveva esercitato il diritto a non essere nominata e non aveva proceduto al riconoscimento.
Al Tribunale per i minorenni era pervenuta la segnalazione relativa al riconoscimento della minore da parte del presunto padre biologico.
Su ricorso del P.M., volto a verificare la veridicità del riconoscimento, erano stati eseguiti gli esami del DNA, dai quali risultava che la bambina non era figlia dell’uomo che intendeva riconoscerla.
In seguito a tale accertamento, era stato nominato un curatore speciale, il quale impugnava il riconoscimento per difetto di veridicità.
Contemporaneamente, si apriva la procedura di adottabilità della minore, la piccola era stata allontanata dall’uomo e affidata temporaneamente ad altra famiglia. Solo a quel punto, la madre biologica chiedeva l’affidamento della figlia.
Accertato definitivamente il difetto di veridicità del riconoscimento eseguito dall’uomo, la madre chiedeva comunque la revoca della procedura, ma il Tribunale per i minorenni dichiarava lo stato di adottabilità.
La Corte d’Appello adita revocava la dichiarazione di adottabilità sostenendo che la non immediatezza del riconoscimento materno può essere un indizio di abbandono ma non è condizione sufficiente per dichiarare l’adottabilità.
Inoltre, occorreva considerare che il presunto padre, con il quale la donna aveva avuto una relazione, era sposato; nonché lei stessa era unita ad altro compagno con un’altra figlia minore. Aveva quindi pensato di non riconoscere la bambina e lasciare che la stessa fosse accudita dal padre e dal suo nucleo familiare.
Il ricorso in Cassazione
Hanno proposto ricorso in Cassazione la Procura generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro e il tutore della minore, deducendo violazioni di legge, tra cui la L. 19 ottobre 2015, n. 173, art. 2, per non essere stati convocati gli affidatari della bambina nel giudizio d’appello, non essendo sufficiente la loro audizione in primo grado.
La Corte avrebbe privilegiato ingiustificatamente il rientro nella famiglia di origine, ignorandone l’estraneità per la minore, nonché la condotta della madre e del “falso” padre che avevano causato la situazione.
Quanto alla violazione della legge processuale, il giudizio di appello si è integralmente svolto successivamente all’entrata in vigore della L. n. 173/2015, quindi tale normativa si applica nel caso di specie.
La Corte di Cassazione spiega la duplice ratio delle recenti previsioni legislative.
Da una parte, si intende valorizzare il ruolo degli affidatari nello sviluppo psico-fisico del minore, soprattutto quando si sia stabilita una relazione affettiva di media o lunga durata.
Certamente la valutazione del tempo cambia in relazione all’età del minore, perché nei primi anni di vita è probabilmente sufficiente una durata minore per instaurare una relazione significativa.
Nella sentenza si afferma che il ruolo degli affidatari è importante per la costruzione del contesto relazionale del minore, nonché nella conseguente conoscenza del suo carattere e dei suoi comportamenti, bisogni e criticità.
Solo gli affidatari, infatti, sono in grado spesso di portare in giudizio una valutazione fondata sull’esperienza relazionale vissuta dal minore.
Dall’altra, c’è l’esigenza di conservare figure significative in fasi decisive del suo sviluppo psico-fisico.
La Corte territoriale non ha tenuto conto che la bambina è stata allontanata dal nucleo familiare del supposto padre pochi mesi dopo la nascita, ed è rimasta sempre in affidamento.
Nella sentenza che revocava lo stato di adottabilità decretando il rientro nella famiglia d’origine è mancato ogni riferimento agli affidatari e al ruolo svolto nel periodo molto lungo di affidamento. Si tratta di un periodo di cinque anni trascorsi dalla minore in affidamento, peraltro sostanzialmente coincidenti con gli anni vissuti dalla stessa.
La legge è chiara nell’affermare che, se dopo un periodo di affidamento il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento.
Accolti i motivi di ricorso, la sentenza è stata cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli.
FONTE: Altalex