L’assegno di divorzio non può superare quello che le parti hanno concordato in occasione della separazione, né il parametro per determinarlo può essere il patrimonio del coniuge più forte
Cassazione, sentenza n. 24935/2019
Con ordinanza n. 24935 del 7 ottobre 2019 la Corte di Cassazione ha statuito due principi importanti in una vicenda che ha riguardato un cliente dello studio, fortemente penalizzato, sia in primo che in secondo grado del giudizio di divorzio, con la determinazione di un assegno molto elevato a favore dell’ex coniuge. La vicenda, per quel che qui interessa, è abbastanza semplice.
I due coniugi si sono separati consensualmente nel 2010 pattuendo che il marito versasse alla moglie un assegno di 1.200 euro quale concorso al suo mantenimento e un assegno di 1.000 euro per la figlia che aveva allora 9 anni e sarebbe continuata a vivere con la madre. La sorte dell’assegno della figlia non è in questo caso importante e non è mai stata oggetto di rilevanti conflitti. Quel che importa è l’assegno dovuto per la signora.
Poco dopo la separazione consensuale, infatti, essendo pervenuta al marito la cospicua eredità paterna, l’assegno è stato concordemente aumentato a 2.200 euro e il Tribunale, adito con ricorso per la modifica delle condizioni della separazione, ha approvato. A distanza di tre anni dalla modifica, però, il marito ha richiesto il divorzio e domandato di riportare il suo assegno a 1.500 euro in quanto, nel frattempo, aveva avuto un’altra figlia e altresì perché riteneva che la signora potesse in parte provvedere al proprio mantenimento svolgendo qualche attività lavorativa.
Il Tribunale, invece, dopo aver disposto una costosissima consulenza che ha stimato il patrimonio ereditario del marito in 6 milioni di euro, ha ritenuto di non dover approfondire null’altro e ha elevato a 3.000 euro mensili l’assegno a favore dell’ex moglie. L’ importo superava però il reddito da lavoro dell’ex marito che, dunque, ha dovuto versare tutta la sua retribuzione all’ex moglie intaccando anche il proprio patrimonio. In seguito, l’ex marito ha perciò impugnato la decisione del Tribunale di Treviso avanti la Corte d’Appello, la quale ha successivamente confermato quanto precedentemente statuito. Per fortuna, però, il signore ha avuto la tenacia di arrivare in Cassazione e la Suprema Corte, accogliendo entrambi i motivi di ricorso proposti, ha quindi stabilito che:
a) l’assegno di divorzio non può superare quello che le parti avevano stabilito per la separazione;
b) la rilevanza del patrimonio non giustifica una redistribuzione dei redditi, se non nell’ipotesi in cui il coniuge più debole abbia concorso a realizzare quel patrimonio sacrificando le proprie aspettative professionali per dedicarsi alla famiglia e la sperequazione delle condizioni economiche discenda dalle scelte di vita familiari concordate (ad esempio quando uno dei due si dedica alla famiglia perché l’altro possa realizzarsi nel lavoro e guadagnare).
La Suprema Corte ha poi aggiunto che i giudici di merito avrebbero dovuto anche valorizzare la circostanza che l’ex marito, avendo costituito una nuova famiglia, doveva fronteggiare anche altri oneri di mantenimento. Infine, la Corte di Cassazione ha demandato alla Corte d’Appello in diversa sezione, come prevede il nostro Codice di rito, la determinazione concreta dell’assegno sulla base dei criteri sopraenunciati.